MusicMap intervista LogoS: Il prog è il risultato di un eccitante ‘scontro’ tra forme musicali apparentemente opposte fra loro…
Abbiamo intervistato Fabio Gaspari dei LogoS.
Salve Fabio e benvenuto in Music Map. Confesso che al cospetto del vostro nome (nome-omen?), con quella enigmatica “esse finale” maiuscola, il timore reverenziale è d’obbligo: “In principio era il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio… E il Logos carne divenne e pose la sua tenda in mezzo a noi” (Giovanni 1, 1.14) …e mica è poco… 🙂 Certo, ci mancherebbe… trattasi di cose nobili come la musica ma pur sempre profane (dicasi contrapposte al sacro, Mircea Eliade docet) e quindi seguo i saggi suggerimenti del Candido di Voltaire di rimanere nel proprio orticello, ma non posso frenare la curiosità (e, scommetto, quella dei nostri lettori o cybernauti che dir si voglia) di chiedervi “lumi” (restando in tema voltairiano) sulla scelta di questo impegnativo nome e, con esso, su come si è formata la band…
”Ciao e grazie della vostra disponibilità! Fui io a scegliere questo nome per la band nel lontano 1996. In quel periodo stavo leggendo un libro di storia della filosofia greca, e rimasi colpito da Eraclito, l’oscuro filosofo vissuto a Efeso nel V secolo a.C.: Eraclito vedeva nel “Logos” (parola di origine greca che significa ragione) la legge fondamentale della realtà di tutte le cose, e lo raffigurava come un fuoco eterno le cui fiamme non cessano mai di mutare la loro forma. L’esistenza era da lui vista come un continuo ed eterno mutamento fra opposti; da qui la sua celebre e controversa frase “la guerra (cioè il continuo mutamento e scontro tra opposti) è la madre di tutte le cose”. Logos era un nome che vedevo perfetto per la nostra band, in quanto il prog, forse più di altri generi musicali, è il risultato di un benefico ed eccitante “scontro” tra forme musicali apparentemente opposte fra loro; il rock, il jazz, la musica classica, l’avanguardia, il folk. La formazione iniziale della band era un semplice trio, Luca Zerman alle tastiere, Alessandro Perbellini alla batteria ed io basso e voce. In seguito si sono aggiunti a noi Massimo Maoli alle chitarre e Claudio Antolini al pianoforte e tastiere”.
Prima del nuovo disco che ci apprestiamo a conoscere, avevo nei miei scaffali L’enigma della vita (2014) e già allora, apprezzandolo, mi era parsa inequivocabile la matrice progressiva italica con richiami, in primis, a caposcuola come le Orme [giuro di avere avuto questa impressione prima di leggere la vostra biografia e scoprire che ne facevate le cover :-), semmai mi direte meglio…]. Pur confermando queste radici, direi che Sadako e le mille gru di carta segna un significativo passo verso una più marcata personalizzazione del sound. Del resto, quell’ineffabile Sacro Graal che definiamo originalità, nella musica come nell’arte in genere (senza scomodare i manuali), non consiste in una creatio ex nihilo ma nella capacità di produrre una nuova sintesi di quanto precedentemente assimilato. Allo stesso modo, i grandi innovatori che hanno infranto schemi e consuetudini non ne hanno potuto prescindere… che ne pensi?
“Quando iniziammo a suonare assieme, ci dedicammo principalmente alla rilettura di brani storici del prog italiano, PFM e Banco in primis, e perfino band di culto come Quella Vecchia Locanda e Biglietto Per L’inferno. Ma furono Le Orme che più di tutti influenzarono profondamente il nostro stile compositivo. In quegli anni, il settanta per cento del nostro repertorio era costituito da canzoni della band veneta. Eravamo convincenti nel suonare brani come “Sguardo verso il cielo”, “Collage” e “La porta chiusa”. Tra l’altro, all’epoca ero io il cantante principale e la mia voce era vagamente simile a quella di Aldo Tagliapietra. Il nostro primo album del 1998, realizzato con un rudimentale registratore otto piste a nastro, è fortemente influenzato da Le Orme, sia nelle musiche che nei testi; il secondo album, “Asrava”, ha atmosfere più cupe e un sound più “duro” che ricorda a tratti i King Crimson degli anni novanta. “L’enigma della vita” è il risultato di più di dieci anni di lavoro compositivo; vi si trovano vari stili musicali: prog sinfonico, psichedelia, brani più marcatamente rock e perfino atmosfere acustiche che potrebbero a tratti ricordare i Genesis di “Trespass”. “Sadako e le mille gru di carta” è indubbiamente l’album della nostra maturità, caratterizzato da uno stile compositivo molto più omogeneo, personale, più riconoscibile rispetto ai nostri precedenti album. Sono anch’io della tua opinione; nessuno crea nulla di “nuovo”. Ogni musicista, all’inizio della propria carriera, attinge a forme musicali già esistenti per poi creare con il tempo un proprio personalissimo stile. E’ stato così per tutti i più grandi compositori di ogni epoca”.
Se la strada per raggiungere questo Sacro Graal appare avvincente quanto impervia (e se la mèta fosse il viaggio più che l’approdo?), altrettanto non può dirsi sul motivo conduttore di Sadako e le mille gru di carta, tanto più in un filone musicale soventemente (ma non necessariamente) abbinato a tematiche e testi di carattere, immaginifico, interiore, come il progressive. Qua la trama narrativa è centrata su un tema pregnante sul piano storico quanto drammaticamente attuale: la guerra e tutti i suoi drammi. Come è nata l’idea del disco?
”La suite “Sadako e le mille gru di carta” è nata casualmente dall’incontro fra Luca Zerman e la pittrice veronese Marika Fasoli. Essendo Luca un grande appassionato di pittura, era rimasto profondamente impressionato dallo stile “iperrealista” di questa straordinaria artista. Marika aveva iniziato un ciclo pittorico di origami, dedicato a una ragazzina giapponese di Hiroshima, Sadako Sasaki, morta di leucemia a causa delle radiazioni conseguenti all’esplosione della bomba atomica. Una leggenda giapponese narra che chi riuscirà a creare mille gru di carta (nella cultura giapponese la gru è un simbolo di lunga vita) potrà realizzare il suo più grande desiderio. La ragazzina creò più di seicento gru di carta prima di morire. Decidemmo di comporre un brano che raccontasse la storia di questa sfortunata ragazza. Il testo della canzone è di Marco Zuffo, poeta veronese di eccezionale talento. Inizialmente il brano era stato concepito come una classica “canzone”, ma nel tempo si accumularono idee su idee, e alla fine si trasformò in una suite di ventidue minuti, nel più classico stile prog. La copertina dell’album, naturalmente, è uno splendido dipinto di Marika Fasoli. I testi delle nostre canzoni spesso oscillano fra tematiche “immaginifiche” e intimiste care al prog storico degli anni settanta, e tematiche più attuali, come la guerra, la solitudine, le catastrofi ecologiche che flagellano il pianeta… e, su tutte, la potente domanda che l’uomo si pone da millenni: “chi siamo noi?”.
Le varie atmosfere che si avvicendano nelle sei tracce di Sadako sono contraddistinte da sonorità ”calde” centrate su dialoganti intrecci tastieristici di grande pregio con imponenti tappeti analogici (starei per dire dei ”must” per la nostra amata nicchia, nel vostro caso anche espressione della vostra line-up) sorretti da un ottimo binomio ritmico basso-batteria, atmosfere abbinate ad un artwork raffinato e perfettamente in tema (e si badi bene, l’elemento grafico è tutto fuorché secondario). Nel complesso il collettivo tende ad avere la priorità sui singoli strumenti: una scelta di campo del tutto convincente. Come contraltare sto pensando alle situazioni in cui viene data la prevalenza ai virtuosismi individuali (di frequente riscontro in area progmetal) che tuttavia spesso si (dis)perdono nei cliché di settore a detrimento della dimensione comunicativa. Ecco, ti ho “dato il là” per precisare, aggiungere, integrare (perché no, dissentire) quanto ritieni opportuno rispetto a queste mie impressioni…
”Quando componiamo una canzone, che sia una ballata acustica o una suite, il nostro unico e solo obiettivo è quello di comunicare agli ascoltatori delle emozioni. Non siamo mai stati interessati al virtuosismo strumentale fine a sé stesso. Nei nostri album i momenti solisti non sono mai concepiti allo scopo di “stupire”, bensì allo scopo di impreziosire la linea melodica principale. Secondo me, in molte prog band di oggi c’è un’eccezionale preparazione dal punto di vista strumentale, ma a volte, forse, le idee musicali vengono sopraffatte da un eccesso di virtuosismo non sempre necessario. Ma questa, naturalmente, è una mia opinione personale”.
Sono del parere che il filone musicale che ci appassiona, per le sue origini seventies, per la sua tradizione, la sua storia e le sue peculiarità espressive trasversali alle sue varie articolazioni (complessità, profondità, intensità emozionale, capacità evocativa, non immediatezza dell’assimilazione e via discorrendo), si collochi agli antipodi della cosiddetta rivoluzione digitale, quanto meno dei suoi lati oscuri (diamo ovviamente per scontato gli innumerevoli risvolti positivi) che lasciano intravedere inquietanti scenari di trasformazione antropologica. Mi riferisco al dominio della tecne, alla virtualizzazione dei rapporti umani (confesso la mia allergia ai social media… allergia che non intendo affatto curare! :-)), alla iperconnessione che può sconfinare nella dipendenza, all’impoverimento del linguaggio e al declino della sua funzione simbolica rimpiazzata da una comunicativa asfittica a misura di smartphone. I risvolti musicali negativi di questa ri(ev?in?)voluzione tecnologica sono spesso caratterizzati da un caleidoscopico quanto indigesto fast-food consumistico (“.. e sommersi soprattutto da immondizie musicali”, cantava Battiato, Bandiera Bianca, da La voce del padrone, Emi, 1981) che tende ad affermare una fruizione usa e getta dominata dal dio mercato. Come intendete (op?)porvi di fronte a questi scenari?
”Stiamo vivendo in un’epoca in cui si assiste a un’enorme progresso tecnologico contrapposto però a una spaventosa regressione spirituale, in cui dominano violenza, menzogna, superficialità, e vengono esaltate ricchezze materiali e volontà di dominio. Un’epoca dove l’ignoranza è virtù e la riflessione un vizio. Ciò si riflette anche nella musica; quasi più nessuno ormai si prende la briga di “ascoltare” un album. Oggi la musica si ascolta distrattamente in streaming tramite smartphone e auricolari, ascoltando playlists generate da un algoritmo mentre si è impegnati a fare dell’altro. E “l’immondizia musicale” di cui parlava Battiato negli anni ottanta è aumentata a dismisura. E’ un panorama desolante; ma questa situazione, paradossalmente, ci stimola ad andare avanti, a creare nuova musica che emozioni e testi che inducano alla riflessione. In questi mesi abbiamo ricevuto apprezzamenti e manifestazioni di affetto da parte di tante persone da ogni angolo del mondo, anche dal Giappone, dove 75 anni fa un’intera città fu spazzata via in pochi secondi da una bomba atomica. La frase più frequente che compare nei loro complimenti è “questo album mi ha emozionato”. Questo ci scalda il cuore, perché significa che nel mondo c’è ancora tanta gente che si oppone a questo generale appiattimento dei cervelli; tanta, tantissima gente che ha bisogno di cultura, di riflessione”.
Assumiamo ora la prospettiva di Giano Bifronte rivolgendo contemporaneamente uno sguardo al passato e uno al futuro. Iniziamo dal primo: quali i momenti più significativi della strada finora percorsa?
”Per me personalmente un momento particolarmente significativo è stato la realizzazione del nostro primo album, intitolato semplicemente “Logos”. Prima di questa band avevo già suonato in altri gruppi dalle forti atmosfere prog con cui avevo composto delle valide canzoni, ma purtroppo per una lunga serie di motivi non si è mai concretizzato nulla. Con il primo album dei Logos abbiamo avuto finalmente la soddisfazione di far conoscere al pubblico la nostra musica, anche se a quell’epoca non esistevano ancora le enormi possibilità che oggi offre il web. E questo è un aspetto positivo della tecnologia. Un altra cosa che ricordo con piacere è l’aspetto live: a quell’epoca facevamo molti concerti. Oggi, a Verona, quasi tutti i locali in cui negli anni ottanta e novanta si suonava e ascoltava musica dal vivo hanno chiuso uno dopo l’altro. E in tante altre città italiane la situazione non è molto migliore. Negli ultimi anni abbiamo suonato quasi sempre all’estero”.
Saliamo ora su una collina e cerchiamo di vedere cosa si profila all’orizzonte LogoS, anche in riferimento alla dialettica studio-live, in un periodo in cui (ahinoi) l’incertezza legata alla situazione sanitaria regna ancora sovrana: e sono convinto che la buona musica (e l’arte in genere) può darci una mano per uscire dal tunnel, soprattutto mentale, relativo a tale situazione…
”Purtroppo il Covid-19 ha dato una batosta tremenda alla musica live; abbiamo avuto contatti con alcune organizzazioni musicali per eventuali concerti all’estero, e sicuramente in futuro ci saranno delle belle occasioni, ma finché questa pandemia non finirà, e purtroppo non finirà tanto presto, l’aspetto live al momento è inesistente. Nel frattempo non ce ne stiamo con le mani in mano; abbiamo iniziato a comporre nuove canzoni, e all’orizzonte ci sono progetti alquanto ambiziosi, come per esempio portare la storia di Sadako in teatro e creare una sorta di strano connubio “musica prog e teatro”. Le idee riguardo questo progetto sono ancora ovviamente a uno stadio embrionale. Vedremo se si concretizzerà”.
Bene Fabio e grazie. In attesa delle prossime mosse LogoS ti lascio il microfono per rivolgerti alla platea di MusicMap…
”Ringrazio MusicMap che con tanta gentilezza e disponibilità ci ha dato questa bellissima opportunità di esprimere il nostro pensiero e condividerlo con voi. Vorrei lasciarvi con questa bellissima frase di Khalil Gibran: “La musica è la lingua dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che ascolta”. (MauroProg)
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